Un giorno fra la gente corse voce che da poco tempo qualcuno era venuto ad abitare nelle rovine. Molto giovane, una bambina, si supponeva. Non si poteva dirlo con esattezza perché vestiva in modo abbastanza bizzarro. Si chiamava Momo o qualcosa di simile.
L’aspetto di Momo era davvero insolito e forse poteva allarmare quelle persone che danno molta importanza all’ordine e alla pulizia. Era piccola e magrolina, di modo che, anche con la migliore buona volontà, non si poteva decidere se avesse otto oppure dieci anni. Aveva una testa ricciuta nera come la pece, palesemente mai sfiorata da pettini o forbici.
Aveva grandi vividi meravigliosi occhi del pari neri come la pece, e i piedi dello stesso colore perché andava quasi sempre scalza. Soltanto in inverno, e non sempre, portava scarpe, spaiate di colore e di forma e per di più troppo larghe. Perché Momo non possedeva niente all’infuori di quel che trovava qua e là o che le regalavano.
La sottana, che le arrivava alle caviglie, era un complesso di toppe variopinte di tessuti d’ogni genere.
E sopra la gonna portava una vecchia giacca maschile lunga e larga, con le maniche di molto rimboccate ai polsi: Momo non voleva accorciarle perché era previdente e sapeva che sarebbe cresciuta ancora. E chissà se mai avrebbe potuto trovare un’altra giacca così bella e con tante tasche così pratiche.
(M. Ende, Momo)

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