martedì 17 marzo 2009

Il problema della Guerra nell'ancien régime

Le parti in corsivo sono citazioni dell'opera di riferimento: Goubert Pierre, L'ancien régime. La società. I poteri, Jaca Book, 1993)


Iniziamo con una definizione di “guerra” risalente al 1757:
L’Enciclopedia: una condanna senza appello
...La guerra soffoca la voce della natura, della giustizia, della religione e dell’umanità. Suo unico frutto sono gli atti di brigantaggio e i delitti; suoi compagni sono il terrore, la carestia e la desolazione; la guerra strazia l’animo delle madri, delle mogli e dei figli, devasta le campagne, spopola le province e riduce in polvere le città, impoverisce gli stati più fiorenti nel momento stesso in cui conseguono i più eclatanti successi, espone i vincitori ai tragici rovesci di fortuna, deprava i costumi di tutte le nazioni ed accresce il numero dei miserabili ancor più di quanto non lo diminuisca con la morte. Ecco i frutti della guerra...
Voce «Guerre» red. da Jaucourt nel 1757
(p. 507)
Questa l’introduzione del problema da parte di Pierre Goubert:
La guerra non è certo uno dei fenomeni meno rilevanti nella Francia dell’ancien régime, a condizione che, beninteso, non la si riduca alla cronaca di alcune battaglie. Dal 1589 al 1763 (anno questo che contrassegna la fine della guerra dei sette anni) il regno conobbe un numero di anni di guerra doppio o quasi a quello degli anni di pace. Fra il 1635 e il 1714, come successivamente fra il 1726 e il 1763, nessun periodo di pace durò mai più di nove anni; la tregua più lunga (1679-1688) fu disseminata di atti di aggressione e di brevi campagne militari, con un esercito rimasto costantemente sul piede di guerra. Va detto infine che il bilancio militare assorbiva—sia in tempo di guerra sia in tempo di pace—circa la metà delle spese dello stato.
(p. 477)
Procederemo ponendoci alcune domande essenziali e cercando le risposte nel testo di Goubert.
Chi decideva la guerra?
Solo il re dichiara, dirige e pone termine alla guerra: ci si batte e si muore per il re, non per la nazione.
Perché il re dichiara la guerra?
Il re ama dichiarare guerra poiché essa è la sua attività più nobile, la sola che procuri vera gloria e permetta l’allargamento dei confini: supreme aspirazioni di tutti i re. Anche nell’immagine mito­logico popolare che abbiamo esaminato il re è visto come un cavaliere alla testa degli eserciti.
Talvolta la decisione della guerra era anche ben ponderata in seno al consiglio ma era comunque raro che subentrassero considerazioni sulle forze economiche e finanziarie del regno, parimenti si trascurava l’opinione del popolo e i rischi che essa poteva comportare.
Se ne ricava l’impressione che
i re possedessero per la guerra un gusto profondo, una specie di passione tradizionale e mistica insieme.
(p. 479)
Chi combatte la guerra?
Non si hanno ancora eserciti nazionali: intorno alla metà del XVIII secolo, in tempo di pace, il 12,5% dell’esercito è di nazionalità straniera (in guerra sale probabilmente al 25% e maggiore ancora doveva essere questa percentuale per i periodi precedenti). È impossibile da calcolare il numero complessivo degli uomini in armi: gli eserciti si disfano continuamente per effetto della diserzione; inoltre un gran numero di civili era al seguito dell’esercito (mercanti, trafficanti, prostitute, famiglie dei soldati).
Non c’era, quindi, un esercito nazionale e non c’era un sentimento nazionale per la guerra.
Come si formavano gli eserciti?
Tradizionalmente l’esercito rappresenta il servizio per eccellenza prestato al re.
Per la nobiltà antica prestare questo servizio era una tradizione; ma è anche vero che tale classe pratica fino al 1660 la rivolta armata e che un buon numero di nobili si astenne dal servizio. Spettano ai nobili, comunque, i posti più importanti dell’esercito.
Le milizie antiche, che rappresentano la partecipazione di una provincia o di una città alla propria difesa, fornivano solo un modesto contributo all’esercito.
Il nucleo essenziale dell’organizzazione militare era costituito dall’esercito di mestiere. Il soldato era in linea di principio un volontario che riceveva un premio di arruolamento e successivamente una paga (soldo). Questi volontari costituivano la maggioranza in tempo di pace, ma nei tempi di guerra i bisogni aumentavano e il sistema dell’arruolamento volontario diveniva insufficiente. I sergenti reclutatori si davano da fare allora a reclutare e lo facevano con stratagemmi di vario tipo, con la frode vera e propria o con la forza.
Nel 1688 si arrivò alla creazione della milizia reale: ogni parrocchia forniva un miliziano che prestava servizio per un periodo che andava dai tre ai sei anni. Costui, in tempo di pace, si limitava ad esercitazioni non troppo impegnative, in tempo di guerra veniva mobilitato per la guardia alle piazzeforti e la sorveglianza delle comunicazioni. Talvolta si incorporavano tali miliziani nell’esercito vero e proprio ma per lo più costituivano una sorta di esercito di riserva suddiviso in un centinaio di battaglioni provinciali.
Anche in questo caso alcuni godono di privilegi e alcune categorie sono esentate: sono esentate alcune province e alcune città; sono esentati i preti, i nobili (proprio quei nobili che godono di una particolare posizione sociale in quanto “combattenti”), i funzionari, gli impiegati dello Stato; sono esentati la maggioranza dei borghesi, dei mercanti e dei rentiers che pagassero una certa somma per le imposte reali e i fittavoli di campagna che pagassero un affitto superiore alle 300 lire; infine sono esentati — costoro, infine, per motivi umanitari —i più poveri e coloro che costituivano l’unica fonte di reddito per la famiglia.
È quasi superfluo accennare al fatto che la popolazione nutriva una profonda ostilità nei confronti di questo servizio militare e tutti cercavano di evitarlo: quando non vi riuscivano e finivano arruolati erano comunque ben pronti a tentare la diserzione di fronte allo spettro della guerra (le cifre riportate da Goubert dimostrano l’esistenza di percentuali di diserzione superiori al 50%).
L’esercito era quindi un massa estremamente varia ed instabile.
C’era un solido nucleo di volontari francesi e stranieri, nobili e non (questi ultimi assai più numerosi); c’erano buoni ufficiali che, per i vertici della gerarchia, possedevano quasi invariabilmente un titolo nobiliare; c’era una maggioranza indubbia di soldati coscienziosi e coraggiosi, assuefatti al mestiere; ma c’erano anche giocatori, avventurieri, predoni sprezzatori dei borghesi e dei contadini; c’era anche una consistente minoranza di militari d’occasione […]; gente presa e mantenuta a forza, che non amava né i servizi di guardia né le esercitazioni, che amava poco la disciplina e meno ancora la guerra e cercava continuamente—e spesso con successo—l’occasione della fuga. I soldati avevano di rado stanza nelle caserme (almeno sino alla fine del XVIII secolo se si eccettuano le truppe scelte); vivevano dunque non di rado nelle case degli abitanti, o si attendavano in accampamenti allestiti più o meno accuratamente prima del loro arrivo.
(p. 487)
Chi gestiva la guerra e chi aveva modo di guadagnarci?
Prima del 1661, eccettuate le truppe scelte della guardia del re e i suoi reggimenti (10 15 mila uomini), l’esercito è un miscuglio di affari privati, di mercanteggiamenti e di speculazioni. Gli ufficiali comprano compagnie e reggimenti e i mercenari riconoscono solo i capi diretti (e nella misura in cui arriva la paga).
La guerra era un immenso complesso di mercati dove tutto (dalle armi, al cibo, ai cavalli) veniva fornito da imprese private. Ben logico quanto fosse importante il ruolo dei fornitori e dei finanzieri: eserciti e guerre erano in fondo in mano loro.
Dopo il 1661 si verificano alcune importanti trasformazioni: i vari elementi che costituiscono l’esercito passano gradualmente agli ordini dei civili (segretari di stato, ispettori generali, intendenti dell’esercito, commissari di guerra). Si costruiscono le prime caserme, si sviluppano alcune sezioni specializzate (artiglieria, addetti alle fortificazioni, genio), si istituiscono scuole militari, si seguono i progressi della tattica (studiando quanto avveniva all’estero), si creano fonderie, manifatture di armi e arsenali di proprietà dello Stato.
Ciò che invece non cambia è il fatto che restarono indispensabili i fornitori e i finanzieri, che del resto si installarono nei nuovi organismi statali. Tutte le guerre del XVIII secolo furono rese possibili dagli anticipi e dai prestiti dei finanzieri.
Chi paga la guerra?
A livello popolare le dichiarazioni di guerra, contrariamente ai trattati di pace che erano calorosamente festeggiati, non suscitavano nessun entusiasmo. Questo accade anche perché nella mentalità del periodo la patria non è rappresentata dalla nazione, ma dalla provincia o dalla città: il popolo minuto, quindi, considera la guerra come un affare privato del re e della sua gente (per lo meno quando il pericolo non è imminente). In questo senso, occorre anche sottolineare che il motivo principale dell’ostilità nei confronti del servizio militare risiedesse nell’incapacità psicologica di uscire dal proprio ambiente.
Vi era inoltre una sorta di timor panico del soldato: questi alloggiavano, per mancanza di caserme, nelle case degli abitanti e si comportavano in maniera arrogante e brutale tanto che alcune province si riscattavano dall’alloggiamento delle truppe con tasse di vario genere. A motivo di questa “brutalità” dei soldati, che arrivava spesso al saccheggio, c’era il fatto che i soldati erano pagati assai irregolarmente e tendevano a rifarsi su coloro che li ospitavano. Il tutto si aggravava in periodo di guerra e il passaggio dell’esercito, del re o del nemico, lasciava parimenti miserie e rovine. Senza contare la diffusione di malattie epidemiche (fra le quali anche la peste).
Il peso di tutto questo grava, al solito, sul popolo minuto.
Dalla seconda metà del XVII secolo questo tipo di problema divenne secondario dato che le guerre si svolsero in gran parte fuori dei confini del regno. Ma assunse invece rilievo il problema finanziario dato che l’esercito divenne più numeroso. In questo campo fu importante il ruolo di finanzieri e fornitori, ma gli anticipi che costoro fornivano dovevano essere restituiti e per poterlo fare si ricorreva al prelievo fiscale. Ogni guerra era così accompagnata da un aggravamento delle imposte, il che, a sua volta, era motivo di malcontenti e ribellioni.
L’esercito e la guerra divoravano almeno la metà delle entrate dello Stato: il denaro dello Stato, prelevato tramite le tasse imposte ai contadini, era speso principalmente per esigenze militari.

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