sabato 4 aprile 2009

Decameron - Federigo degli Alberighi

Viveva a Firenze un giovane chiamato Federigo degli Alberighi, di nobilissima famiglia, abile nelle armi e stimato da tutti per la sua cortesia. Egli, come solitamente avviene agli uomini di cuore nobile, si innamorò di una gentil donna, Monna Giovanna, una delle più belle ed eleganti donne della città.

Nel tentativo di farsi apprezzare da lei, partecipava a tornei, organizzava feste, faceva regali. E per far questo, ovviamente, scialacquava senza ritegno. Senza ritegno e senza alcun risultato perché Monna Giovanna pareva non accorgersi di niente... né delle cose fatte per lei né di chi le faceva.

Federigo, finì con lo sperperare tutto il suo patrimonio: non gli rimase che un piccolo podere, che gli garantiva rendite appena sufficienti a vivere poveramente, ed un falcone, che era uno dei migliori al mondo. Se ne andò a vivere proprio a Campi, in questo poderetto che possedeva. Lì conduceva la sua vita in povertà, dedicandosi, quando possibile, alla caccia con il falcone.

Intanto il ricchissimo marito di Monna Giovanna si ammalò e morì. Nel suo testamento aveva precisato la sua volontà di lasciare tutto al suo unico figlio, ma aveva anche stabilito che l’intero patrimonio sarebbe andato alla moglie qualora il ragazzo fosse morto senza eredi.

Monna Giovanna e suo figlio, come si usava fare, erano soliti passare l’estate in campagna, in un podere che si trovava vicino a quello di Federigo. Tanto vicino che il ragazzo, girando per i dintorni, conobbe Federigo e cominciò a frequentarlo. Rimase talmente affascinato dal falcone che lo avrebbe voluto per sé. Non osava chiederlo solo perché sapeva quanto fosse importante per Federigo.

Avvenne in seguito che il ragazzo si indebolì e si ammalò. Sua madre che, come tutte le madri, lo amava più di ogni altra cosa al mondo, gli stava intorno tutto il giorno per curarlo e confortarlo e continuamente gli domandava se c’era qualcosa che potesse fargli piacere.

Il ragazzo un giorno disse: “Madre mia credo che se mi faceste avere il falcone di Federigo guarirei più velocemente”.

La donna rimase perplessa. Sapeva quanto Federigo l’avesse amata senza ottenere da lei un solo sguardo e si diceva: “Come posso domandargli quel falcone che a quanto si dice è il migliore che mai abbia volato e che, oltre a ciò, è quello che lo mantiene in vita? Come potrei essere così ingrata da volerlo privare dell’unico piacere che gli è rimasto?”.

Sapeva bene che se glielo avesse chiesto l’avrebbe avuto. Le era ben nota la gentilezza di Federigo. Ma non si decideva a togliergli quell’unica ricchezza.

Fu l’amore per il figlio che la spinse a rompere gli indugi: “Fatti forza e pensa a guarire” disse al ragazzo “Domattina andrò da Federigo a chiedere quel falcone”. Il ragazzo fu così contento di quella promessa, che le sue condizioni parvero immediatamente migliorare.

La mattina seguente Giovanna, in compagnia di un’altra donna, passò dalla casetta di Federigo e lo fece chiamare. Visto che non era tempo per la caccia con il falco, Federigo stava facendo alcuni lavori nell’orto. Quando gli dissero che Monna Giovanna chiedeva di lui, sebbene incredulo e disorientato, non perse tempo e fu subito da lei.

Giovanna gli si fece incontro con grazia e, dopo che Federigo l’ebbe salutata con parole riverenti, gli disse: “Salute Federigo. Vengo a darti un po’ di sollievo per i danni che hai avuto dall’amarmi più di quanto sarebbe stato opportuno. Starò a pranzo con te insieme con questa mia compagna”.
“Signora”, rispose Federigo “da voi non ho avuto nessun danno, ma soltanto del bene, tanto che se valgo qualcosa è solo grazie a voi e all’amore che nutro per voi. E senza dubbio l’avervi qui, ora, è per me cosa ben più preziosa di tutto il denaro speso in passato. Purtroppo questa povera casa non è degna di voi”.

Così detto chinò la fronte e la ricevette nella sua casa. La condusse nel giardino e disse: “Signora, questa buona donna, moglie di questo contadino, vi terrà compagnia mentre io andrò a dare disposizioni per il pranzo”.

Nonostante vivesse in estrema povertà, Federigo, fino a quel giorno, fino a quel momento, non si era veramente reso conto della sua condizione.

Quella mattina, invece, in preda all’angoscia e maledicendo la sua sorte, si accorse che non disponeva neppure del necessario per far preparare un pranzo adeguato alla situazione. Girava da un angolo all’altro della sua cucina senza riuscire a trovar niente di utile e per di più non aveva neppure un soldo in tasca.
Fu così che, mentre si disperava, animato solo dal desiderio di trovare qualcosa con cui poter adeguatamente onorare la presenza della donna amata, gli caddero gli occhi sul suo falcone, appollaiato sopra una stanga. Senza esitare lo prese e, trovandolo grasso e di buon peso, pensò di poterlo cucinare. Gli tirò il collo, lo fece spennare e ordinò alla sua serva di cuocerlo allo spiedo. Apparecchiò intanto la tavola con una bella tovaglia bianca che era riuscito a conservare e, passata una mezzora, andò in giardino e disse che quanto poteva offrire era stato preparato.

Le donne mangiarono, ma senza sapere, con precisione, cosa stessero mangiando.

Terminato il pranzo, Giovanna diede inizio a una piacevole conversazione, nel corso della quale, quando le parve il momento giusto, disse al suo ospite: “Federigo, senza dubbio ti meraviglierai della mia presunzione sentendo ciò che sono venuta a dirti, soprattutto ripensando al tuo passato e alla mia riservatezza, che avrai considerato durezza d’animo e crudeltà. Ma se tu avessi o avessi avuto dei figli e se potessi comprendere quanto è grande l’amore che si nutre per loro, sono certa che mi scuseresti per ciò che sto per dire. Essendo io una madre, sono soggetta a forze cui non posso sottrarmi, forze che mi persuadono a farti una richiesta che io stessa giudico inopportuna. È per lui, per mio figlio, che sono qui a chiederti in dono una cosa che per te è molto importante, perché si tratta dell’unica consolazione che ancora ti resta. Si tratta del tuo falcone. Mio figlio, che è ammalato, si è tanto invaghito del tuo falcone, che se non glielo portassi si aggraverebbe e potrebbe anche morire. Perciò ti prego di farmi questo favore, non per l’amore che nutri nei miei confronti - per questo certo non sei tenuto a fare alcunché - ma per la magnanimità che hai sempre mostrato. Mio figlio riavrà la sua salute e io te ne sarò per sempre grata”.

Federigo cominciò a piangere senza dire una parola.

In un primo momento Giovanna credette che quel pianto derivasse più che altro dal dolore di doversi separare dal falcone ed era quasi pentita di aver osato formulare una simile richiesta.
Ma Federigo, trattenendo a fatica le lacrime, disse: “Signora, da quando Dio volle che io vi amassi, in molte cose ho avuto contraria la fortuna e di lei ho avuto motivo di lamentarmi. Ma erano cose da nulla rispetto a ciò che oggi mi accade. Quand’ero ricco non vi degnaste mai di entrare nella mia casa e ora, ora che questa non è più degna di voi, non solo siete qui, ma mi chiedete uno dono che, come sto per spiegarvi, non vi posso fare. Sappiate che appena siete arrivata qui e mi avete chiesto di desinare, per riguardo al vostro valore ho reputato opportuno onorare la vostra presenza con la miglior vivanda disponibile: il mio falcone. Ciò che mi chiedete lo avete avuto sul tagliere e provo un dispiacere così forte per non poter esaudire la vostra richiesta che non potrò mai darmene pace”.
Andò in cucina e prese le penne, le zampe e il becco del falcone, così che Giovanna potesse vedere con i suoi occhi. Lei lo rimproverò d’aver sacrificato un simile animale per dare da mangiare ad una donna, ma non poté far a meno di ammirare la sua grandezza d’animo, quella magnanimità che nemmeno l’estrema povertà aveva potuto attutire.

Triste e sconsolata, se ne tornò dal suo figliolo, il quale si aggravò e, dopo pochi giorni, morì.

Giovanna, trovandosi sola, ricchissima e ancor giovane, dopo lunga sofferenza, venne consigliata dai suoi fratelli a rimaritarsi. Per diverso tempo non volle nemmeno sentirne parlare, ma davanti all’insistenza dei fratelli disse loro: “Mi sposerò volentieri se è ciò che volete; ma sappiate che io non accetterò nessuno come mio sposo se non Federigo degli Alberighi”.

Sentendo queste parole i fratelli si fecero beffe di lei e le dissero: “Sciocca, cosa stai dicendo? Come puoi desiderare proprio lui che non possiede più nulla?”.

Ma Giovanna fu irremovibile. “Fratelli miei”, disse “so benissimo in quali condizioni si trova, ma preferisco un uomo che abbia bisogno di una ricchezza ad una ricchezza che abbia bisogno di un uomo”.

I fratelli, compreso il desiderio di Giovanna, la diedero in sposa a Federigo e quest’ultimo, divenuto saggio amministratore della sua nuova ricchezza, visse in letizia con Giovanna fino alla fine dei suoi anni.

(adattamento da Giovanni Boccaccio, Decameron, giornata V, novella IX)


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