giovedì 17 dicembre 2009

Internet in classe. Raccontiamola giusta

Posto, per chi fosse interessato, l'articolo di Maria Novella De Luca di cui abbiamo discusso stamane.
Ho corretto buona parte dei refusi presenti nell'originale, se ne individuate altri segnalateli usando il modulo dei commenti (modulo che, spes ultima dea, potrete utilizzare anche per aggiungere il vostro parere). 

Internet in classe. Raccontiamola giusta

Fanno i compiti su Internet e scaricano le informazioni da Wikipedia. Affrontano i compiti in classe muniti di Ipod, e non abbandonano mai la calcolatrice. Navigano nel sapere con la velocità del mouse, si destreggiano senza scoraggiarsi nella biblioteca di Babele delle nozioni online, sono il ponte tra l’era Gutenberg dei loro genitori e il mondo dei nativi digitali.

Si chiamano New Millennium Learners, così l’Ocse ha definito la generazione degli studenti nati dalla fine degli anni Ottanta in poi, ragazzi multitasking, tecnologici, i cui meccanismi di apprendimento, nuovi, diversi, più legati all’ immagine che alla parola, stanno mettendo in seria crisi le istituzioni scolastiche. Alla vigilia di rivoluzione tecnologica che forse dal 2011 sostituirà per sempre sui banchi di scuola i libri di testo con e-book e sussidiari digitali, studiosi, insegnanti, genitori provano ad interrogarsi sulla possibilità di “convivenza” tra nuovi linguaggi e saperi tradizionali.

«Diffido di chi afferma che Internet ossidi la mente - dice Franco Fabbroni, docente di Pedagogia generale all’ università di Bologna, il cui ultimo saggio si chiama appunto “Il computer sul banco” - ma diffido nello stesso tempo della cultura in power point. Fare una ricerca sul web accorcia i tempi e moltiplica le fonti, ma non può sostituire il rapporto creativo, magari anche di conflitto, con l’ insegnante. Le nuove tecnologie sono dei supporti fenomenali se lo studente ha però imparato a destreggiarsi tra le insidie di questa valanga di nozioni grezze che il computer gli offre con un semplice clic». Perché il tempo stringe.

E insegnare a “gestire” il computer sarà la sfida che gli insegnanti dovranno affrontare negli anni immediatamente prossimi, se si pensa che in Italia, agli ultimi posti nella Ue come diffusione di Internet, oltre il 60% delle famiglie con figli ha in casa un computer con accesso alla Rete, mentre il ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta ha annunciato l’ arrivo di un milione di mini Pc nelle scuole primarie italiane entro i prossimi sei mesi, insieme a lavagne digitali e naturalmente connessioni ad Internet. «Il computer non va demonizzato né santificato continua Fabbroni - ma semplicemente utilizzato con criterio. Senza dimenticare però che il vero processo cognitivo si attiva con il confronto, durante la lezione, e il maestro, il professore devono essere dei “contromedium” al sapere del web. Invece, sempre più spesso mi capitano tra le mani tesi di laurea fatte soltanto attraverso slide e power point, come se uscendo dal rapporto visuale gli studenti non fossero più in grado di raccontare il contenuto delle loro ricerche».

Figli cioè del mondo della sintesi, del discorso sincopato degli sms e dei social network, dell’ immagine che divora la parola, gli studenti di oggi avrebbero perso la capacità di raccontarsi e di raccontare, mandando in cantina per sempre l’ antica arte dell’ affabulazione. Forse, ma la realtà è fatta di chiaroscuri, come spiega Martina Agnes, docente di filosofia in un liceo classico di Ancona. «Nelle mie classi ho notato che gli studenti bravi riescono a mescolare tutti i linguaggi. Ho dei ragazzi che parlano e scrivono con la stessa povertà degli sms, e ragazzi in grado fare magnifiche tesine attingendo notizie esclusivamente da Internet. Tesine che loro devono poi rielaborare e spiegare in classe, quindi devono capire ciò che hanno raccolto….Ho quasi sessant’anni e sto per andare in pensione, ho imparato dai miei figli ad usare il Pc, ma di una cosa sono convinta: esiste chi ha voglia di studiare e chi no, chi si appassiona e chi è passivo, Internet poi è soltanto uno strumento in più».

Maurizio Ferraris è professore ordinario di Filosofia Teoretica all’ università di Torino, e spiega che il sospetto per le nuove tecnologie che un tempo si chiamavano “tecniche”, risale ai tempi di Platone. «Quando nel quarto secolo a.C. nelle scuole greche iniziò a diffondersi la scrittura, Platone nel “Fedro” affermò che questo avrebbe ucciso la memoria, perché le persone invece di fare lo sforzo di tenere tutto a mente si sarebbero appoggiate alla parola scritta.

Dunque la discussione è antica, e la verità è che così come la memoria orale è sopravvissuta, così il computer non divorerà la scrittura. Lo aveva previsto Jacques Deridda già nel 1967, quando pur ipotizzando una possibile scomparsa del libro, sosteneva però che ci sarebbe stata un’ esplosione della scrittura. Ed è esattamente ciò che è avvenuto, i giovani non fanno altro che scriversi, scriversi in continuazione…». Le tecniche convivono, ciò che conta è il sapere. Non importa sotto quale forma, aggiunge Maurizio Ferraris, «YouTube è diventato il più grande archivio mondiale di immagini e parole, mentre le vecchie edicole dei giornali, oggi piene di ogni tipo di pubblicazioni, sembrano le succursali della Biblioteca di Alessandria».

I bambini imparano ad usare il Pc così come imparano a vestirsi o allacciarsi le scarpe. «Il computer è una tecnica, poi è la scuola che deve insegnare loro a gestirlo. Senza fretta però. Chi detto che la scuola deve essere al passo con i tempi?». «Sono ragazzi i cui processi di apprendimento non sono più lineari ma frammentati, non più rigidi ma mobili», afferma Paolo Ferri, docente di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media all’Università Bicocca di Milano che nel suo libro “La scuola digitale” edito da Bruno Mondadori, descrive appunto il modo di studiare dei “nativi digitali”. Che riescono ad elaborare nozioni mentre ascoltano musica e chattano con gli amici, con il televisore acceso e cellulare che vibra, «in uno zapping consapevole tra le differenti fonti di apprendimento e comunicazione».

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