Roberto S. Lopez (1910-1986) medievalista genovese. Nel 1939, in seguito alla campagna antisemita del nazifascismo, si trasferì negli Stati Uniti, dove studiò e insegnò alla Yale University: nel 1963 vi fondò il Dipartimento di Studi Medievali che diresse fino al 1975.
L’alba europea: “Le tenebre si rischiarano”. L’alba part umet mar atra sol, Poy pasa bigil, mira clar tenebras.“L’alba porta sul mare oscuro il sole, poi valica il colle: guarda, le tenebre si rischiarano!” Questo distico, scritto nel secolo X in una lingua che non è più latina e non è ancora identificabile con una delle moderne lingue romanze, non va certo annoverato tra i versi più armoniosi che l’avvento del mattino abbia ispirato. Ma lo storico delle origini europee li trova commoventi come il primo vagito di un neonato. Ai profeti di sciagure che non si stancano d’agitare i loro spauracchi, alle carte che fanno seguire la data dell’anno corrente con la formula “nell’approssimarsi della fine del mondo”, questi poveri versi sembrano rispondere che un’era nuova sta per nascere. Né sono i soli: mille voci proclamano la buona novella, quantunque le si intendano appena in mezzo alle grida di dolore che accompagnano la nascita dell’Europa.
Tra la metà del secolo IX e quella del X, infatti, la cristianità fu squassata nelle sue più profonde strutture dai nemici più numerosi e più brutali che essa avesse affrontato dalla caduta dell’impero romano in Occidente in poi [l'autore sta alludendo alle invasioni di normanni, ungari e saraceni]. Le sue sofferenze furono tanto più crudeli in quanto gli invasori non avevano né i mezzi né l’intenzione d’intraprendere la conquista dell’Europa e, in questo modo, di ridarle pace al prezzo della schiavitù. [...] Tutte queste pressioni, aggiungendosi alla discordia e all’incapacità dei sovrani, sfasciarono l’impero carolingio. Sebbene non mancassero i pretendenti alla corona imperiale, dopo l’887 nessuno dei discendenti di Carlomagno riuscì a riunire di nuovo i suoi frammenti. Come per un’ironia della storia, l’impero romano, preparato dal mitico Romolo e iniziato da Augusto, si era chiuso con un imperatore adolescente che si chiamava Romolo Augustolo. Per un’altra ironia, l’impero carolingio, fondato da Carlo il Grande, si chiuse con Carlo il Grosso.
Resistenza su base locale. La resistenza si organizzò lentamente, come era inevitabile data la trama assai rada di cui era costituita l’Europa. Eserciti e flotte regolari, frontiere sorvegliate su tutta l’estensione da guarnigioni permanenti non esistevano che alle due estremità opposte dell’Europa, nell’impero bizantino e nell’emirato, poi califfato di Cordova. Le marche di frontiera istituite dai Carolingi e dai loro successori per assorbire il primo urto delle invasioni non erano abbastanza solide. All’interno, i vassalli non si mostrarono solleciti ad abbandonare i propri “benefici” per rispondere alla chiamata del sovrano. D’altronde, nelle isole britanniche e in Italia, non c’era nemmeno un sovrano riconosciuto da tutto il paese, che potesse coordinare uno sforzo difensivo.
Se non era possibile arrestare gli invasori - e comprare la loro ritirata [ossia offrir loro denaro o altri beni perché se ne andassero] serviva solo a invitarli a nuovi ricatti - la tattica migliore consisteva nel mettere al riparo i beni più preziosi e spiare l’occasione di piombare sulle colonne appesantite dal bottino. Città e monasteri, nei primi tempi sorpresi e saccheggiati, cominciarono a circondarsi di robuste fortificazioni. Si eressero castelli in cima alle colline e nelle anse dei fiumi. Re, papi, coalizioni di nobili o di cittadini organizzarono su base locale una resistenza sempre più energica e ben presto vittoriosa.
Le battaglie campali furono più rare e non sempre fortunate, ma nel 955 Ottone il Grande, duca di Sassonia e re di Germania, inflisse agli Ungari una memorabile disfatta [l'autore si riferisce alla battaglia di Lechfeld]. Tuttavia fu soprattutto grazie alla sua disunione e alla sua povertà che l’Europa invertebrata del secolo X poté resistere alle invasioni meglio di quel che avesse fatto l’impero macchinoso del secolo V. Non esistevano più centri vitali, arterie maestre, nodi economici la cui perdita potesse far crollare tutta una provincia, ma villaggi isolati e città quasi isolate. Per distruggere queste minuscole cellule a una a una sarebbero occorsi un piano e una continuità di azione quali gli aggressori certo non possedevano.
L’Europa ampliata. Logorati dai loro stessi sforzi, respinti qua e là, addolciti inoltre dai loro contatti coi popoli sedentari, gli invasori finirono col fissarsi al suolo nei territori strappati alle vecchie comunità cristiane e anche nei loro paesi d’origine. Questo li rese più accessibili all’influenza dei loro vicini, la cui nobiltà bellicosa e la cui massa di contadini poveri non differiva radicalmente dalla loro. Modesti nuclei urbani sorsero anche presso di loro. A poco per volta, la maggior parte dei nuovi barbari adottò le istituzioni religiose e politiche delle nazioni più vecchie [...]. Così la superficie dell’Europa di Carlomagno si trovò quasi raddoppiata, e la famiglia dei popoli europei, quale la conosciamo ai nostri giorni, fu quasi completata. L’assimilazione riuscì relativamente facile per gli Scandinavi, tanto nelle numerose teste di ponte che essi consolidarono nelle isole britanniche e fino in Normandia, quanto nei loro paesi natali, che dovevano ben presto coagularsi nei tre regni cattolici di Danimarca, Norvegia e Svezia.
Estratto ed adattato da Roberto S. Lopez, La nascita dell’Europa, secoli V - XIV, Einaudi, Torino 1966.
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